San Marino, Germania, Italia, tre realtà a confronto con molte problematiche comuni
Gilberto Piermattei e Alfredo Zonzini per la CSdL, unitamente ad una delegazione della CGIL Rimini, sono stati ospiti in Germania della DGB (il sindacato tedesco) della provincia dell’Odenwald
Nell’ambito dei rapporti consolidati tra la CSdL e la CGIL Rimini con la DGB dell’Odenwald (Assia del Sud), dal 10 al 13 giugno una delegazione delle due organizzazioni ha compiuto una visita in questo importante distretto economico della Germania, ospiti dello stesso sindacato tedesco.
La delegazione sammarinese era composta dal Vice Segretario CSdL Gilberto Piermattei e dal Segretario della Federazione Servizi della CSdL Alfredo Zonzini. Con loro una delegazione della CGIL Rimini guidata dalla Segretaria confederale Claudia Cecchetti.
L’Assia è un’area che conta 1.000.000 di abitanti con 322.000 lavoratori dipendenti, i quali partecipano attivamente all’attività sindacale della DGB. Tra le realtà produttive e di servizio visitate, il Centro sanitario pubblico di Erbach, in cui si è svolto un incontro con i rappresentati sindacali della funzione pubblica (Ver.di) per un confronto sul sistema sanitario tedesco. Il Centro sanitario è provvisto di 270 posti letto e comprende una casa di riposo (88 posti), una scuola professionale per operatori socio-sanitari, il pronto soccorso, il servizio di fisioterapia.
Vi operano 60 medici e 140 infermieri, per un totale di 800 addetti; il centro si presenta come una struttura di eccellenza. Tuttavia, dall’incontro con i rappresentanti sindacali interni è emerso che questo centro rischia fortemente, come avvenuto per altre strutture della zona, di essere ceduto ai privati, in quanto i fondi necessari alla gestione operativa sono ampiamente insufficienti; il centro sanitario ha realizzato una perdita di 800 milioni all’anno.
La struttura sindacale interna è preoccupata della possibile cessione a privati: questo comporterebbe un sicuro ridimensionamento salariale, tagli di personale e complessivamente un abbassamento dei diritti e delle tutele degli operatori, oltre ad una riduzione della prestazioni agli assistiti.
La delegazione si è incontrata con le autorità politico-istituzionali dell’Odenwald; in particolare con il Presidente della Provincia Franz Matiaske, e con il sindaco dello storico municipio di Michelstadt Stefan Kelbert, con i quali vi è stato uno scambio di informazioni sulla situazione politica e sociale dell’Odenwald, così come della RSM e della provincia di Rimini.
La delegazione ha quindi visitato l’industria chimica farmaceutica Merck di Darmstadt, incontrando i rappresentanti sindacali aziendali. Si tratta di una multinazionale tedesca presente in 63 paesi esteri, che conta 39.000 dipendenti, con un fatturato annuo di 11,3 mld di euro. Nella sede centrale di Darmstadt sono occupati 9.000 dipendenti su una superficie di 1,2 km2, oltre a 2/3mila lavoratori con contratti differenziati, inviati da agenzie interinali.
Dalla visita sono emerse alcune contraddizioni che caratterizzano l’intero sistema tedesco, che da alcuni è preso come il supremo modello di riferimento: la legge prevede che dopo aver sottoscritto il contratto nazionale di categoria, lo stesso viene applicato solo agli iscritti al sindacato che ha siglato l’accordo.
Ai lavoratori non iscritti conseguentemente non si dovrebbe applicare tale contratto, ma questo nella realtà non succede, in quanto i datori di lavoro non vogliono favorire l’iscrizione al sindacato, e pertanto riconoscono gli stessi trattamenti retributivi anche ai non iscritti, però applicando alcune penalizzazioni e restrizioni in relazione, ad esempio, ai periodi di ferie, alla previdenza complementare e ad altri istituti contrattuali.
Visitato anche il birrificio “Schmuker”, nella città di Mossautal, accompagnati dai rappresentanti sindacali dell’azienda, che hanno illustrato agli ospiti le varie fasi del processo produttivo.
Negli incontri effettuati, con i dirigenti della DGB dell’Odenwald – Horst Raupp, Segretario Generale, Harald Staier, Presidente, e Jurgen Planert, Segretario Generale Sud dell’Assia – e successivamente con i delegati sindacali delle realtà produttive visitate, si è consolidata l’idea che la politica dell’austerità adottata dalla Commissione Europea continuerà a produrre un progressivo impoverimento dei lavoratori nel continente europeo ed una restrizione dei diritti e delle tutele.
Una conferma di ciò è stata riscontrata anche nell’incontro con le autorità istituzionali, i sindaci e il Presidente della provincia del’Odenwald; essi hanno manifestato la loro disapprovazione verso la politica del governo centrale tedesco, il quale da tempo non trasferisce adeguate risorse alle provincie, che di conseguenza sono costrette ad un contenimento dei servizi sociali, e in alcuni casi anche al loro taglio, creando rilevanti disagi ai cittadini.
Uno dei momenti più significativi della visita è stato il dibattito pubblico, a cui hanno partecipati i delegati sindacali della DGB, dedicato ai temi del lavoro dignitoso, della giustizia sociale, delle politiche per i rifugiati e i migranti, svoltosi a Michelstadt l’11 giugno 2015, in cui sono intervenuti i rappresentati della DGB e delle delegazioni di CSdL e CGIL.
Come elemento di fondo, rispetto ai temi della conferenza si è registrata una pressoché totale condivisione e convergenza nella valutazione della situazione dei rispettivi stati, ed anche rispetto alla strategia da mettere in campo per affrontare le grandi sfide che attendono il sindacato, sia a livello nazionale che europeo e internazionale.
È forte la consapevolezza che occorre ritrovare tra tutte le organizzazioni sindacali europee, partendo dal 13° Congresso della CES che si svolgerà in settembre a Parigi, una nuova strategia che metta al centro la giustizia sociale e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, per affermare in Europa il lavoro di qualità. Ciò partendo dalla convinzione che per raggiungere questi risultati diventa strategica l’unità e la solidarietà di tutte le organizzazioni facenti parti la CES, per poi estendere tali traguardi al resto delle organizzazioni sindacali mondiali, attraverso il coinvolgimento della Confederazione Sindacale Internazionale.
Nell’ambito della discussione politica tra DGB tedesca, CGIL e CSdL, si è condiviso il principio che per ricondurre al centro i diritti dei lavoratori ci sarà sempre più bisogno della contrattazione nazionale collettiva, per non lasciare indietro nessuno dei lavoratori, e che con la scorciatoia illusoria della contrattazione solo aziendale non si possono realizzare appieno i valori della solidarietà e della giustizia sociale. Esprimere concetti diversi da questo, come fanno a sproposito taluni pseudo sindacalisti, che si spacciano per moderni ma che non conoscono la realtà, significa danneggiare i lavoratori. Per la CSdL al dibattito è intervenuto il Vice Segretario Gilberto Piermattei, il cui intervento si riporta integralmente di seguito.
“È con grande piacere che intervengo ai lavori di questo dibattito internazionale sui temi del lavoro dignitoso, della giustizia sociale, delle politiche verso i migranti. In tutti i paesi europei il lavoro sta degradando verso livelli sempre più bassi, a causa di una competitività internazionale fondata sulla rincorsa a ridurre le condizioni di lavoro e i diritti normativi ed economici dei lavoratori, assieme al proliferare di varie tipologie di lavoro sostanzialmente precarie, che in molti casi si traducono in vere e proprie forme di sfruttamento.
Sul piano internazionale, dopo che all’inizio del secolo il fenomeno del lavoro minorile sembrava dovesse finalmente regredire, oggi si sta assistendo ad una forte ripresa e incremento di questa odiosa forma di sfruttamento, ribaltando il concetto “I bambini a studiare, i grandi a lavorare”. Questa situazione di crisi, e ne abbiamo la conferma, in economia continua dunque a creare mostri. Pertanto, è necessario un intervento delle organizzazioni sindacali europee e internazionali per favorire un processo intensivo e duraturo di “educazione allo sviluppo”, inteso come modalità per accrescere i diritti dei lavoratori del terzo mondo e condurli verso una prospettiva di lavoro dignitoso.
Deregolamentazione del mercato del lavoro, mancanza di occupazione e precarietà, disuguaglianza retributiva finiscono per essere i presupposti dell’assenza di un lavoro dignitoso, perché rendono gli uomini e le donne socialmente vulnerabili. Il lavoro, soprattutto per i nuovi assunti, è sempre meno tutelato; molti governi europei hanno creato un sistema normativo che rende più facile anche il licenziamento dei lavoratori.
La crescente disoccupazione è l’emergenza più grave; sono i giovani i soggetti più colpiti. Di fronte alla mancanza di lavoro è ancora più facile, da parte delle aziende e dei datori di lavoro, imporre condizioni di lavoro al ribasso, con la negazione dei più elementari diritti. Infatti, il ricatto è accettare di lavorare a quelle condizioni, oppure di andarsene. Pur di mantenere una fonte minima di sostentamento, molti accettano di lavorare in condizioni, purtroppo, non dignitose.
I lavoratori oggi spesso si sentono soli; la paura di perdere il lavoro li mette in competizione fra loro e li spinge a pensare che l’unico modo per potersi salvare è contrattare ogni aspetto della propria vita lavorativa direttamente con i datori di lavoro scavalcando i corpi intermedi e quindi il sindacato, che fa del suo ruolo sociale e del senso della collettività il proprio elemento fondante. In questo contesto proliferano sia il lavoro nero che il cosiddetto lavoro informale, cioè quello che avviene completamente al di fuori delle regole: anche questi sono elementi che aggravano la deriva a cui sta andando incontro il lavoro anche nei paesi europei.
La strada intrapresa dagli Stati per far fronte alla crisi, dettata principalmente dai governi forti dell’Europa comunitaria, ovvero quella dell’austerity e del contenimento della spesa pubblica, senza investimenti per il rilancio dell’economia e del lavoro, ha avuto effetti recessivi sull’economia e sul lavoro e di attacco ai livelli di stato sociale, mettendo a rischio quella che è stata per molti decenni una delle peculiarità più nobili e avanzate dei paesi europei: lo stato sociale forte, universalistico e inclusivo.
Con i tagli ai salari e alle protezioni sociali, si aggravano le disuguaglianze e l’ingiustizia sociale. Di fronte ad una enorme massa di capitale che comunque rimane in circolazione, la distribuzione della ricchezza è sempre meno equa e concentrata nelle mani di pochi.
Le principali priorità attuali della CES, alle quali spetta il compito di affrontare questa deriva economica e sociale, sono le politiche per l’occupazione, i diritti sociali, la lotta contro tutte le forme di discriminazione, per la costruzione di una autentica unione sociale, una politica economica e fiscale concertata e di una strategia per l’occupazione che miri a riequilibrare gli aspetti economici e sociali della integrazione europea.
In materia di diritto del lavoro, tra le priorità vi sono la protezione dei lavoratori di fronte alle nuove forme di lavoro precario e non tutelato, la lotta al lavoro nero e allo sfruttamento, la salute e sicurezza sul luogo di lavoro, ancora più a rischio in questa interminabile situazione di crisi e di stagnazione economica
Un punto fermo che va affermato sia a livello europeo che nazionale, è che non si può uscire dalla crisi senza rimettere al centro la contrattazione collettiva e la concertazione sociale. Siamo di fronte ad un attacco alla contrattazione sia a livello europeo che nazionale; in molti paesi si assiste alla crescente esclusione delle organizzazioni sindacali dai processi decisionali, con molti governi pronti a imporre riforme del mercato del lavoro senza il necessario confronto con le parti sociali.
L’attacco ai diritti dei lavoratori e, in particolare, allo strumento della contrattazione collettiva, accanto al deterioramento delle relazioni industriali e all’indebolimento dello stato sociale, rappresentano un vero e proprio freno alla democrazia e un moltiplicatore delle ingiustizie e disuguaglianze sociali, che minano le possibilità di ripresa economica e corrodono ulteriormente il tessuto sociale.
In questo contesto si colloca anche il problema, anzi il dramma, dei migranti che fuggono dai loro paesi per sottrarsi alla fame, al sottosviluppo, e sempre più spesso a sanguinosi conflitti armati, mettendosi nelle mani di coloro che speculano odiosamente attorno a tale disperazione. Quello dell’Unione Europea è un approccio che si limita principalmente a contrastare e reprimere la migrazione, spesso criminalizzando le vittime dei trafficanti, senza considerare le cause degli spostamenti, senza intervenire politicamente sui paesi di origine e di transito, senza strutturare un sistema di asilo comune e condiviso all’interno dell’Unione, e in più generale senza preoccuparsi nella giusta misura del rispetto dei diritti umani.
La cosa più vergognosa sono le idee razziste e xenofobe da parte di forze politiche di destra, e non solo, che considerano i migranti con profondo disprezzo unicamente come un pericolo per la nostra “tranquillità”; esseri che vanno semplicemente respinti e lasciati al loro destino, senza nessuna pietà e senza nessuna comprensione per il dramma che stanno vivendo. Se nei paesi di provenienza non ci sono politiche di sviluppo, se non si interviene per fermare le guerre e le violenze di cui sono vittime interi popoli, non possiamo pensare di reprimere la volontà delle persone di tutelate la propria vita e quella dei propri figli abbandonando queste zone per cercare una nuova prospettiva di vita.
È portando sviluppo e diritti nella società e nel lavoro, e mettendo fine ai conflitti anche attraverso un più stringente ruolo dell’ONU e della comunità internazionale, che sembrano sostanzialmente latitanti di fronte a numerosi scenari di guerra – in particolare nel nord Africa e medio oriente, teatro peraltro dell’espansione del fondamentalismo islamico e della sua azione terroristica – che si creano le condizioni affinché migliaia e migliaia di persone non abbiano più la necessità di migrare.
Nel frattempo l’Unione Europea deve coordinare politiche di soccorso umanitario e di accoglienza per i profughi che fuggono dalla guerra e dalla miseria, politiche che chiamino tutti i paesi europei a dare il proprio contributo in termini di solidarietà, senza lasciare ai soli paesi che si affacciano sul mediterraneo il compito di gestire questo imponente flusso migratorio, che chiama in causa i nostri livelli di civiltà.”