Birmania, anche San Marino appoggi il governo democratico clandestino e la resistenza per mettere fine alla dittatura militare
Accorato appello di Khaing Zar Aung, sindacalista birmana costretta a fuggire dal suo paese, a sostenere le forze democratiche e il sindacato nella lotta contro la giunta militare che sta compiendo un genocidio della popolazione, oltre ad aver soppresso i diritti sindacali, ridotto i lavoratori in schiavitù e portato alla fame metà della popolazione. È fondamentale l’appoggio della comunità internazionale e la condanna delle aziende multinazionali che sfruttano la manodopera dal paese
RSM 19 marzo 2023 – La drammatica situazione dei lavoratori e dei cittadini della Birmania (o Myanmar) a seguito del colpo di stato militare del 2021, che ha destituito il governo democratico legittimamente eletto guidato da Aung San Suu Kyi, è stata raccontata ieri al Centro Sociale di Dogana da Khaing Zar Aung, Presidente della Federazione dei Sindacati dell’Industria della Birmania. La sindacalista birmana è stata ospite a San Marino di CSdL-CDLS-USL, su iniziativa del Direttore dell’ILO Italia-San Marino Gianni Rosas e Cecilia Brighi, Segretaria Generale dell’Associazione Italia-Birmania.Insieme.
Su di lei è stato emesso un mandato di cattura da parte del regime militare mentre era in Germania. Da allora vive in questo Paese, da dove continua la sua battaglia per i diritti del suo popolo e il ritorno della democrazia.
Khaing Zar Aung ha iniziato a lavorare a 16 anni in Birmania in una fabbrica tessile dove cuciva abiti per i grandi marchi internazionali; lavorava senza sosta dalle 7.30 alle 10 di sera sette giorni su sette per 10 dollari al mese. Dopo alcuni anni se n’è andata in Thailandia, dove, per fare lo stesso lavoro guadagnava molto di più. Qui è avvenuto il suo incontro con i sindacati, cominciando a seguire corsi sui diritti dei lavoratori. Nel 2012 è tornata in Birmania, e nel 2015 il sindacato – che aveva instaurato un dialogo con il Governo legittimo – è riuscito ad ottenere diversi miglioramenti nelle condizioni dei lavoratori, ad iniziare dal diritto ad un giorno di riposo alla settimana e ad uno stipendio di 3 dollari giornalieri, ovvero 5 volte in più del salario base pagato fino a quel momento.
La Birmania è un paese con 56 milioni di abitanti, divisa in 7 regioni e 7 Stati, in cui sono presenti 135 gruppi etnici e si parlano 100 lingue. Cina e Russia hanno forti interessi economici, politici e strategici in questo paese, ed hanno assicurato il loro appoggio anche militare al governo dei militari. Anche l’India ha a sua volta importanti interessi strategici in Birmania.
In questo paese – ha sottolineato Cecilia Brighi nell’introdurre l’incontro – è in atto un genocidio da parte della giunta militare, che continua a bombardare con gli aerei e l’artiglieria pesante – di provenienza russa – la popolazione civile, distruggendo oltre 40mila villaggi.
Il risultato del terrore della giunta militare sono almeno 30mila civili uccisi, l’arresto di oltre 4mila donne e bambini, 2 milioni di rifugiati interni, 17,5 milioni con bisogni umanitari urgenti, duemila attivisti sindacali in clandestinità, 140 giornalisti incarcerati e 8 uccisi. Metà della popolazione è alla fame, come attesta l’ONU.
La giunta militare ha in mano l’intera industria, tra cui quella tessile che occupa prevalentemente donne, e le principali attività produttive del paese; dopo il colpo di stato ha messo al bando i sindacati, arrestato o ucciso i leader sindacali, cancellato i contratti di lavoro. In un solo colpo sono stati spazzati via tutti i diritti e le conquiste sindacali raggiunti nei pochi anni di governo democratico, in cui era stata introdotta la libertà sindacale e la contrattazione collettiva. Se i lavoratori protestano, addirittura le aziende chiamano i militari, affinché ”ristabiliscano l’ordine”.
Tutte le zone industriali in Birmania sono sotto la legge marziale. I militari circondano queste aree con posti di blocco e controllano perfino i telefoni dei lavoratori. Il potere giudiziario è completamente nelle mani dei militari, ed i lavoratori possono essere condannati a pene durissime per motivi molto banali. Le condanne sono senza appello.
Dall’avvento dei militari le lavoratrici e i lavoratori percepiscono meno di due dollari al giorno, e sono costretti a fare straordinari non pagati, con orari di lavoro interminabili; spesso, a causa del coprifuoco sono costretti a dormire in fabbrica.
La giunta ha perfino invitato le aziende a creare dei sindacati fantoccio. Nonostante i sindacalisti veri vivano in clandestinità, sono riusciti a raccogliere 98 casi di violazioni dei diritti fondamentali nel settore tessile. Vengano prodotti capi di abbigliamento anche per 139 brand della moda internazionale, tra cui anche alcuni marchi italiani. Queste aziende multinazionali, i cui prodotti si trovano comunemente anche nei nostri negozi, producono in Birmania pur sapendo che le lavoratrici operano in condizioni di lavoro forzato e schiavitù.
I sindacati birmani hanno chiesto a questi brand dell’abbigliamento di non rinnovare gli accordi con i fornitori locali e di uscire responsabilmente dal paese. Al contempo hanno chiesto all’Unione Europea di sospendere gli accordi preferenziali attraverso i quali le imprese europee possono importare in Europa senza pagare le tasse di importazione. Ma la UE non ha accolto questa richiesta: ha adottato alcune sanzioni, unitamente ad altri Paesi occidentali, senza che abbiano prodotto risultati tangibili.
Mentre le convenzioni ONU e OIL relative ai diritti umani, sindacali e del lavoro vengono gravemente violate, le esportazioni di prodotti di abbigliamento verso l’Unione Europea, il Giappone e gli Stati Uniti hanno totalizzato 3,3 miliardi di dollari, un aumento di circa 1,6 volte in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Nonostante la presa del potere, buona parte del territorio birmano è sotto il controllo dell’opposizione democratica; inoltre, in molte zone si sono composte delle forze di resistenza su base etnica, che si oppongono agli attacchi dei militari.
Khaing Zar Aung ha rivolto il suo appello anche alla Repubblica di San Marino affinché presso l’Assemblea delle Nazioni Unite, dove la Repubblica ha un voto al pari degli altri Stati, sia riconosciuto quale unico governo legittimo il Comitato di Unità Nazionale (NUG), composto dalle forze democraticamente elette dal popolo birmano.
La Birmania ha bisogno del sostegno di tutti i popoli democratici per uscire dall’abisso della dittatura militare. Questo sostegno internazionale è necessario per rafforzare la resistenza del popolo birmano ai bombardamenti, agli arresti e alle torture.
Il Direttore dell’ILO Gianni Rosas ha messo in luce come stiano aumentando nel mondo i paesi nei quali le dittature cancellano anche i pochi presidi democratici esistenti, a cominciare dai diritti sindacali ed associativi. Recentemente, l’OIL ha avviato 5 nuove commissioni d’inchiesta per altrettanti paesi, tra cui la Birmania, indagata per la soppressione delle libertà sindacali e/o lavoro forzato. Nella lista c’è anche un paese europeo, la Bielorussia.
I Segretari delle tre organizzazioni sindacali hanno espresso la più completa solidarietà e il pieno sostegno alla lotta del sindacato e della resistenza birmana, valutando iniziative concrete di solidarietà, da definirsi unitamente a Cecilia Brighi. Al contempo CSdL-CDLS-USL sono impegnate a farsi portavoce presso le istituzioni sammarinesi affinché il nostro Paese sostenga le forze democratiche birmane nei consessi internazionali per mettere la parola fine alla disumana dittatura militare.
CSdL-CDLS-USL
Nella foto: al centro della prima fila la sindacalista birmana Khaing Zar Aung, insieme ai dirigenti sindacali sammarinesi, Cecilia Brighi e Gianni Rosas, mentre eseguono il saluto dei democratici birmani